L'art. 23 del D. Lgs. recante disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, di attuazione della legge delega nr. 183 del 2014 meglio nota come Jobs Act, ha novellato l'art. 4 dello Statuto dei lavoratori, dopo 45 anni dalla sua approvazione.

Come noto l'art. 1, comma 7 lett. f) della Legge delega prevedeva la necessità di modificare l'art. 4 dello Statuto dei lavoratori in materia di controlli indiretti a distanza dei dipendenti tenendo conto dell'evoluzione della tecnologia con il conseguente uso, da parte dei dipendenti, di numerosi strumenti di lavoro che consentono, seppur in forma indiretta, il controllo a distanza dei dipendenti (L'art. 1 comma 7, lett. f) della Legge delega per la riforma del lavoro, prevede che vengano adottati d. lgs. anche per l'attuazione del principio che segue: "revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, tenendo conto dell'evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzative dell'impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore").

Il primo comma dell'art. 4 dello Statuto dei dipendenti resta invariato e costituisce uno dei pilastri del diritto alla riservatezza dei dipendenti, viene, infatti, ribadito il divieto assoluto di fare uso di impianti audiovisivi o di altri strumenti per il fine esclusivo di procedere al controllo a distanza del dipendente.

I controlli indiretti mediante l'uso di impianti audiovisivi

Il secondo comma dell'art. 4, invece, nella sua nuova formulazione consente l'installazione di strumenti che possono implicare, seppur indirettamente, il controllo dei dipendenti solo in presenza di esigenze di natura organizzative, produttive oppure di tutela del patrimonio aziendale.

La novità di tale norma va ritrovata principalmente nel fatto che viene espressamente previsto che gli strumenti di controllo indiretto possano essere installati anche per fini di tutela del patrimonio aziendale.

Tale novità che prima facie potrebbe sembrare assolutamente irrilevante, consente di avanzare due riflessioni l'una sotto il punto di vista privacy e l'altra sotto il profilo giuslavorista o meglio collegato all'annosa questione dei controlli difensivi.

In ottica privacy è noto che l'informativa da rilasciare, ai sensi dell'art. 13 del D. lgs. 196/2013, ai soggetti interessati (ossia i soggetti di cui vengono trattati i dati personali, nel caso di specie le immagini inerenti i dipendenti) in presenza di impianti di videosorveglianza, interni o esterni, anche dopo il noto provvedimento generale del Garante privacy in materia di videosorveglianza dell'aprile 2010 che ha ulteriormente semplificato proprio tale adempimento informativo, deve indicare le finalità del trattamento degli impianti di videosorveglianza.

La finalità non è altro che lo scopo che il Titolare del trattamento (vale a dire colui che decide le finalità e le modalità del trattamento, nella questione in disamina esso coincide con il datore di lavoro) intende perseguire mediante la raccolta dei dati tramite il sistema di videosorveglianza, gli scopi debbono essere determinati, espliciti e legittimi. E', inoltre, consentito, ai sensi dell'art. 11 del codice privacy la possibilità di fare uso dei dati raccolti per una determinata finalità anche per altri scopi purchè compatibili con gli scopi della raccolta.

In via specifica lo stesso cartello informativo reso ai sensi dell'art. 13 del Codice privacy deve indicare le finalità del trattamento che, solitamente, sono costituite proprio dalla tutela del patrimonio tanto che il Garante nel provvedimento generale citato (cfr. par. 2 nr. 2) richiama espressamente tale finalità tra quelle lecite solitamente perseguite dai datori di lavoro.

L'altra questione, a parere di chi scrive di maggiore interesse con interessanti profili problematici, concerne il rapporto tra la previsione dell'installazione degli strumenti di controllo a distanza come le telecamere per fini di tutela del patrimonio ed i cosiddetti controlli difensivi.

La tutela del patrimonio

Appare innegabile che la tutela del patrimonio rientra tra i fini difensivi per cui il controllo avente tale finalità costituisce una forma di controllo difensivo.

Ebbene, la nuova procedura autorizzatoria prevista dall'art. 4 comma 2 dello Statuto dei lavoratori, come vedremo semplificata rispetto alla procedura prevista ante riforma, sembra escludere, in virtà di una mera interpretazione letterale, la possibilità di procedere a controlli difensivi occulti nei confronti dei dipendenti mediante impianti di videosorveglianza o altri strumenti diversi da quelli impiegati per rendere la prestazione lavorativa.

Residuerebbero, se si accogliesse un'interpretazione letterale della nuova norma, in capo al datore di lavoro, il diritto di fare ricorso agli strumenti di videosorveglianza per fini di tutela del patrimonio:

– in modo palese nei confronti dei propri dipendenti, previo rilascio dell'informativa cartello di cui all'art. 13 del Codice privacy e di tutti gli altri adempimenti previsti dal Provvedimento generale del Garante del 10 aprile 2010 e rispetto della procedura autorizzatoria prevista dall'art. 4 comma 2 dello Statuto;

– in modo occulto esclusivamente nei confronti di terzi (ad esempio in locali in cui non è previsto l'accesso da parte dei dipendenti).

L'interpretazione letterale della norma sopra riportata contrasta apertamente con il più recente orientamento giurisprudenziale inerente i controlli difensivi occulti per il tramite di sistemi di videosorveglianza, tanto agognato dai datori di lavoro; controlli che hanno consentito la scoperta di illeciti penali posti in essere dai dipendenti.

La Cassazione, infatti, con il più recente orientamento ha affermato il principio di piena utilizzabilità delle immagini nell'ambito del processo penale raccolte in violazione dell'iter procedurale di cui all'art. 4, comma 2 dello Statuto dei lavoratori (precedente versione). In base a questo orientamento, quindi, nell'ambito di un procedimento penale a carico di un dipendente di un'azienda erano utilizzabili come prove documentali le videoriprese effettuate dal datore di lavoro ai fini dell'accertamento e repressione dei comportamenti illeciti anche nel caso in cui l'impianto di videosorveglianza sia stato installato in violazione della procedura prevista dall'art. 4, comma 2 dello Statuto dei lavoratori (ante riforma) e, quindi, sostanzialmente, in modo occulto.

In virtù di tale orientamento le immagini potevano essere impiegate, in sede penale, in procedimenti, ad esempio, inerenti reati patrimoniali commessi ai danni dall'azienda dagli stessi dipendenti senza necessità di accordi con le RSA oppure, in mancanza, con l'autorizzazione della Direzione provinciale del lavoro competente territorialmente.

I giudici hanno ricordato che gli artt. 4 e 38 dello Statuto dei lavoratori non impediscono i cd. controlli difensivi sul patrimonio dell'azienda da azioni delittuose poste in essere da chiunque compresi i dipendenti. In un caso i giudici di legittimità hanno confermato la condanna per appropriazione indebita di una commessa che era stata sorpresa da una telecamera mentre sottraeva del denaro dalla cassa dell'esercizio commerciale. Sono state, quindi, ritenute pienamente utilizzabili le immagini videoregistrate da una telecamera seppur il soggetto imputato fosse un lavoratore subordinato posta l'insussistenza di una violazione dell'art. 191 del codice di procedura penale (v. Sentenza Cass. pen. nr. 20722 del 18 marzo 2010).

I giudici penali hanno osservato che il mancato rispetto dell'iter procedurale dell'art. 4, comma 2 assume rilievo solo sotto il profilo civilistico ma non inficia la possibilità di valutare, quale elemento probatorio, nel processo penale le videoriprese.

I medesimi giudici di legittimità hanno ritenuto che siano prevalenti sul diritto alla riservatezza ed all'autonomia del lavoratore, le esigenze di ordine pubblico relative alla prevenzione dei reati, laddove vi siano concreti ed effettivi sospetti dell'attività illecita poste in essere all'interno del luogo di lavoro. Alle prove costituite dalle registrazioni video filmate non si applicano le limitazioni di cui all'art. 266 c.p.p. ma solo quelle derivanti dal rispetto della libertà morale della persona che va verificato dal giudice di volta in volta con riferimento alla loro utilizzabilità

La novità normativa introdotta con la modifica dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori, statuendo espressamente che per gli impianti audiovisivi installati per fini di tutela del patrimonio debba essere rispettata una procedura autorizzatoria sindacale oppure innanzi alla Direzione provinciale del lavoro con modalità, come si vedrà, semplificate rispetto a quelle previste nella precedente versione, potrebbe far vacillare l'orientamento finora formatosi in materia di piena utilizzabilità, in procedimenti penali a carico dei dipendenti, delle prove costituite dalle immagini riprese in modo occulto dal datore di lavoro in presenza di sospetti di illecito concreti.

Si auspica che tale rischio venga scongiurato e che le limitazioni circa l'utilizzazione concernano esclusivamente i procedimenti civili facendo comunque salva la facoltà del datore di lavoro di procedere al licenziamento anche solo in pendenza del procedimento penale.

Le semplificazioni procedurali

Uno dei maggiori pregi del nuovo art. 4 dello Statuto è certamente costituito dalla semplificazione della procedura autorizzatoria preventiva all'installazione degli impianti audiovisivi.

Attualmente, come noto, una società con una pluralità di stabilimenti è tenuta, in via preventiva all'installazione dell'impianto di videosorveglianza, a richiedere l'autorizzazione alle rappresentanza sindacali aziendali, se presenti, ed in mancanza o in caso di loro rifiuto, alla direzione provinciale del lavoro territorialmente competente: ne deriva il moltiplicarsi di procedure autorizzatorie con maggiori oneri per le aziende ed impegno per la Pubblica Amministrazione.

A seguito della riforma, invece, sarà possibile procedere all'installazione degli impianti audiovisivi previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali.

In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse provincie della stessa regione oppure in diverse regioni, l'accordo potrà essere conseguito dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

In mancanza di accordo gli impianti e gli strumenti dai quali possa derivare un controllo a distanza dei dipendenti possono essere installati:

a) previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro

b) o nel caso di imprese con unità dislocate in territori che sarebbero di competenza di diverse Direzioni territoriali, previa autorizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

L'attuale riformulazione dell'art. 4 nulla stabilisce in merito alle ipotesi delle aziende in cui non sono presenti nè RSA nè RSU (quest'ultime richieste solo per le imprese con più di 15 dipendenti ed introdotte per la prima volta nel settore privato nel 1991 con l'intesa con CGIL, CISL e UIL e successivamente nel settore pubblico con l'intesa con Confindustria e le menzionate sigle sindacali).

Nella formulazione ante riforma dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori era espressamente previsto che per le società che non disponevano di rappresentazione sindacale aziendale l'accordo dovesse essere conseguito con le commissioni interne.

Attualmente nulla è previsto per cui si ritiene che le aziende, che non dispongono di RSU o RSA, debbano richiedere l'autorizzazione direttamente alla Direzione Provinciale del lavoro territorialmente competente, come peraltro, già era in uso prima della novella normativa.

Gli strumenti di videosorveglianza che consentono la registrazione audio

Come nella previgente versione dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori il legislatore parla non di impianti di videosorveglianza ma di impianti audiovisivi con esplicito riferimento, quindi, alla possibilità dell'impianto di procedere anche alla registrazione della voce.

In via preventiva all'installazione di tali strumenti che consentono anche la registrazione della voce e prima ancora dell'attivazione della procedura di accordo con le RSA o le RSU o della richiesta di autorizzazione alle DTL, va rilevato che occorrerà eseguire una verifica finalizzata a controllare la liceità dell'attività di registrazione della voce rispetto alla finalità perseguita dal datore di lavoro.

Appare evidente che, ai fini della tutela del patrimonio, sarà sufficiente e proporzionato rispettando i criteri di legittimità del trattamento dei dati di cui all'art. 11 del d. lgs. 196/2003, procedere alla mera registrazione delle immagini.

Si potrebbe, infatti, correre il rischio di integrare il delitto di installazione di apparecchiature atte a intercettare di cui all'art. 617 bis c.p., introdotto nel 1974.

La norma ora citata stabilisce che "Chiunque, fuori dei casi consentiti dalla legge, installa apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti al fine di intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche tra le altre persone è punito con la reclusione da uno a quattro anni. [omissis]" (L'art. 617 bis è stato introdotto dall'art. 3, della L. 8 aprile 1974, n. 98).

I giudici di legittimità hanno chiarito come "Il reato previsto dall'art. 617-bis cod. pen. anticipa la tutela della riservatezza e della libertà delle comunicazioni mediante l'incriminazione di fatti prodromici all'effettiva lesione del bene, punendo l'installazione di apparati o di strumenti, ovvero di semplici parti di essi, per intercettare o impedire comunicazioni o conversazioni telefoniche; pertanto, ai fini della configurabilità del reato deve aversi riguardo alla sola attività di installazione e non a quella successiva dell'intercettazione o impedimento delle altrui comunicazioni, che rileva solo come fine della condotta, con la conseguenza che il reato si consuma anche se gli apparecchi installati, fuori dall'ipotesi di una loro inidoneità assoluta, non abbiano funzionato o non siano stati attivati" (Cass. Pen., 15 dicembre 2004, n. 48285).

Da una disamina della giurisprudenza inerente il delitto di intercettazione in ambito lavorativo sono stati rinvenuti precedenti che hanno escluso la ricorrenza del reato in ipotesi di installazione di strumenti per il controllo contabile dei costi telefonici oppure la mera individuazione di un apparecchio da cui sia effettuata una comunicazione telefonica laddove non sia possibile apprendere il contenuto della conversazione;

In termini più generali, invece, integra il delitto di intercettazione abusiva di conversazioni telefoniche:

-l'installazione di congegni che consentono di prendere conoscenza di conversazioni telefoniche di cui non si è parte, nel caso di specie il coniuge aveva installato uno strumento che consentiva di prendere conoscenza delle conversazioni della moglie ed è stato condannato ai sensi dell'art. 617 bis c.p. (Cass. Pen., sez. V, 29 marzo 2001, n. 12655);

-l'installazione di apparecchi radioriceventi che consentano di intercettare le centrali operative della polizia (Cass. Pen., sez. V, 8 giugno 2004, n. 25488).

Come noto non integra il reato di cui all'art. 617 bis c.p. la registrazione di una telefonata di cui fa parte il soggetto interessato ricevente o chiamante fermo restando gli obblighi informativi in capo ai soggetti nei cui confronti si applica la normativa privacy (cfr. art. 13) salvo che si tratti di raccolta dei dati presso terzi per fini difensivi per i quali, come noto si applica l'esenzione dall'obbligo di informativa prevista dall'art. 13, comma 5, del D. Lgs. 196/2013.

I risvolti privacy della raccolta delle immagini mediante impianti di videosorveglianza

Da ultimo, ma non per importanza, si ricorda che condizioni di legittimità della raccolta e del successivo impiego dei dati costituiti dalle immagini e dalla voce sono il rispetto del D. Lgs. 196/2003, meglio noto come Codice privacy e dal Provvedimento generale del Garante per la protezione dei dati personali approvato nell'aprile 2010.

L'espresso richiamo, nel nuovo art. 4, ult. comma dello Statuto dei lavoratori, della necessità di rispettare le nome di cui al Codice privacy all'ultimo comma che fa riferimento, a sua volta, in via esclusiva, agli altri strumenti di controllo a distanza che sono impiegati dal lavoratore, non deve trarre in inganno, essendo innegabile che la voce ed le immagini, in quanto dati personali debbono essere trattati nel rispetto della normativa privacy.

A mero titolo esemplificativo e non esaustivo sarà necessario: rilasciare l'informativa privacy ai sensi dell'art. 13 del Codice privacy, seppur in forma semplificata con dei cartelli come consentito dal provvedimento generale del Garante sopra menzionato, la nomina degli incaricati ai sensi dell'art. 30 del Codice di chi accede alle immagini distinguendo i vari profili a seconda delle classi di incarico, la nomina a responsabile delle società di vigilanza o di portierato che potranno accedere alle immagini, presidiare le attività manutentive, adottare sia le misure minime di sicurezza previste dall'art. 33 del Codice che da quelle previste nel menzionato provvedimento, predisporre una procedura per la conservazione e cancellazione dei dati raccolti.

Ne consegue che in un eventuale procedimento disciplinare il dipendente pur in presenza del rispetto dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori potrà eccepire la violazione della normativa privacy come causa di inammissibilità delle prove eventualmente raccolte dal datore di lavoro, circa tali eccezioni deciderà l'autorità giudiziaria innanzi alla quale pende il procedimento conformemente a quanto stabilito dall'art. 166 del Codice privacy.

RossellaPrivacy  L'art. 23 del D. Lgs. recante disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, di attuazione della legge delega nr. 183 del 2014 meglio nota come Jobs Act, ha...