L’applicazione della normativa sullo smart working sta creando parecchi problemi applicativi alle imprese. In particolare, ci si chiede quali siano gli obblighi del datore di lavoro in tema di sicurezza sul lavoro con riguardo alla prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali. A tal proposito la Cassazione penale ha fornito, con la sentenza n. 45808 del 2017, una preziosa chiave di lettura. Spiega la Corte che “ogni tipologia di spazio può assumere la qualità di luogo di lavoro, a condizione che ivi sia ospitato almeno un posto di lavoro o esso sia accessibile al lavoratore nell'ambito del proprio lavoro”. Ed allora quando è configurabile la responsabilità del datore di lavoro?

Nel richiamare l’attenzione sui rischi emergenti, l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro mette in luce “che “lo sviluppo della tecnologia ha ampliato la possibilità di "trasferire" il lavoro al di fuori dei luoghi ad esso tradizionalmente deputati e ha favorito la nascita di forme di organizzazione del lavoro del tutto nuove”.

Lavoro agile e sicurezza sul lavoro

In questo alveo si colloca la Legge 22 maggio 2017 n. 81 (Jobs Act autonomi), e, in particolare, il capo II dedicato al lavoro agile. Solo che purtroppo si tratta di una normativa che sta creando tra le imprese e tra gli operatori dubbi applicativi e interpretativi a non finire. Per giunta, i dubbi sono aggravati dal fatto che si usa leggere le nuove disposizioni senza collocarle nel contesto globale del D.Lgs. n. 81/2008.

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Basti pensare che, in base all’art. 18, comma 1, secondo periodo, legge n. 81/2017, in caso di lavoro agile, “la prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa”; ed è facile comprendere quanto sia pressante un interrogativo: il datore di lavoro è tenuto a valutare e a fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali?

L’analisi “illuminante” della Corte di Cassazione

Nella sentenza n. 45808 del 5 ottobre 2017, la Cassazione Penale fornisce una chiave di lettura che a ben vedere si rivela preziosa ai fini di una corretta applicazione delle norme di sicurezza del lavoro in rapporto ad attività svolte al di fuori dei locali aziendali.

Il caso è quello di una disegnatrice dipendente di uno studio di progettazione recatasi “presso un edificio ad uso commerciale, composto da tre piani (interrato, terra e primo), che doveva essere adibito a supermercato, per effettuare dei rilievi metrici al piano terra, per permettere di valutare lo spessore del muro e l'ingombro del vano scala”. La donna “si introdusse all'interno di questo attraverso il varco nella pannellatura in cartongesso, che era stata praticata il giorno precedente dal titolare di una ditta individuale, per fare una valutazione del locale”, e, “una volta entrata nel vano, precipitò al piano interrato attraverso l'apertura per il transito dell'ascensore (o il vano a destra dell'ingresso) lasciati vuoti, aperti e non protetti”.

La Sez. IV ne trae spunto per insegnare che “i doveri di valutazione del rischio e di formazione del lavoratore gravanti sugli imputati, in quanto datori di lavoro 'mandanti' (secondo un lessico già in uso nel mondo della produzione e dei servizi) sorgono dal generale obbligo del datore di lavoro di valutare tutti i rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali sono chiamati ad operare i dipendenti, ovunque essi siano situati (art. 15 D.Lgs. n. 81/2008) e dal parimenti generale obbligo di formare i lavoratori, in particolare in ordine ai rischi connessi alle mansioni (art. 37, comma 1, lett. b) D.Lgs. n. 81/2008)”.

Spiega che “la restrittiva nozione di 'luogo di lavoro' rinvenibile nell'art. 62 D.Lgs. n. 81/2008 (a mente del quale si intendono per luoghi di lavoro "i luoghi destinati ad ospitare posti di lavoro, ubicati all'interno dell'azienda o dell'unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell'azienda o dell'unità produttiva accessibile al lavoratore nell'ambito del proprio lavoro"), è posta unicamente in relazione alle disposizioni di cui al Titolo II del citato decreto”. E ne desume che “ogni tipologia di spazio può assumere la qualità di luogo di lavoro, a condizione che ivi sia ospitato almeno un posto di lavoro o esso sia accessibile al lavoratore nell'ambito del proprio lavoro”.

Fa seguito una analisi non meno illuminante. Osserva la Sez. IV che, “mentre le attività in esterno da eseguirsi presso un luogo non classificabile come cantiere temporaneo o mobile richiedono la preliminare valutazione dei rischi delineata dall'art. 28 del decreto, quelle da eseguirsi presso un cantiere divengono oggetto della più articolata disciplina prevista dal menzionato Titolo IV”. E con riguardo al caso di specie, precisa che il datore di lavoro della disegnatrice “avrebbe dovuto provvedere ad elaborare la preliminare valutazione dei rischi connessi all'esecuzione di attività lavorativa presso il sito costituito dall'edificio oggetto dei lavori da progettare e a formare la lavoratrice in merito agli stessi”, e che l’obbligo di formazione gravava anche sul dirigente.

Illuminante è un’ultima considerazione. “Ove l'insorgere del rischio (tipologico) di caduta dall'alto (per l'esistenza di aperture sul vuoto) fosse avvenuto in tempi successivi ad una valutazione dei rischi comunque eseguita – ma giustificatamente manchevole della considerazione dello specifico rischio – e di esso gli imputati fossero rimasti incolpevolmente all'oscuro, non potrebbe essere loro ascritto di non aver considerato un rischio che non avevano possibilità di conoscere”.

Considerazioni conclusive

Nessun dubbio allora che, in caso di lavoro agile, un datore di lavoro non potrebbe essere chiamato a rispondere di violazioni inerenti alla sicurezza in luoghi dei quali non sia edotto in tempo utile per la valutazione e prevenzione degli eventuali rischi ivi presenti, ma che, per altro verso, simili violazioni sono addebitabili al datore di lavoro che non si preoccupi di predeterminare i luoghi di esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali.

Così come è indubbio che, ove versi nell’impossibilità di valutare i rischi presenti in determinati luoghi di esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, ovvero a seguito della effettuata valutazione dei rischi si renda conto che in uno o più di tali luoghi non risultano adottate le necessarie misure di prevenzione e protezione, il datore di lavoro non possa consentire l’esecuzione della prestazione lavorativa in tali luoghi.

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