La situazione pandemica alla quale abbiamo dovuto rispondere in qualità di operatori sanitari ci ha messo di fronte a stressor conosciuti ed altri completamente sconosciuti. L’ operatore sanitario, collocato in aree di degenza, si è trovato per un tempo lunghissimo (circa 3 mesi continuativi) di fronte ad una situazione mai incontrata prima, se non per brevi tempi e in condizioni estremamente più accettabili.

Il primo stressor è stato rappresentato da ciò che paradossalmente doveva anche essere l’elemento principale di prevenzione, ovvero l’accurato uso dei presidi di protezione individuale (in particolare la completa vestizione protettiva) e il loro uso corretto in conformità ai protocolli di massima sicurezza che, tuttavia, si è rivelato fonte di stress per alcuni ordini di motivi:

La necessità di idratarsi al minimo per non dover recarsi ai servizi igienici e quindi doversi svestire e rivestire

l’effetto di scarsa se non nulla traspirabilità del DPI che ha determinato sgradevoli sensazioni fisiche

la scarsa superficie corporea visibile atta alla comunicazione tra operatori e con i pazienti nonché l’anonimato di ruolo e di identità che la tuta stessa determinava (motivo per il quale spesso si consigliava di apporre una foto personale o almeno di scrivere il proprio nome e qualifica anche con una valenza psicologica)

l’estrema difficoltà di comunicare con un paziente che spesso era sottoposto a ventilazione attraverso casco c-pap o intubazione

il secondo stressor si è verificato, nella assistenza del paziente, per la totale assenza di familiari al capezzale del paziente e quindi la necessità anche attraverso telefono o videochiamate di sostenere il paziente nella comunicazione con i congiunti o nella necessità di aggiornare gli stessi sulle condizioni di salute del congiunto

il terzo è riferito all’elevato numero di decessi e la necessità di ricomposizione di un numero di salme ingente che determinava sensazioni psichiche di impotenza e sconfitta ma imponeva, cosa ancora più dolorosa, lo straziante onere di avere stazionanti in unità operativa grandi quantitativi di effetti personali che poi dovevano essere restituiti a familiari sgomenti per non aver avuto spesso contatti con i congiunti deceduti neanche per un breve saluto di commiato.

il quarto stressor si è rivelato essere il timore radicato e talora ingovernabile di trasformare sé stessi in possibile fonte di contagio per i familiari e quindi, sovente, dover adottare laceranti procedure di autoisolamento domestico che imponevano una innaturale distanza dai propri affetti primari

l’ultimo stressor si è venuto a configurare per quegli operatori che , operanti in unità operative non COVID, si sono trasformati in operatori di supporto per le unità operative tradizionalmente coinvolte dalla pandemia (Pneumologie, Medicine Rianimazioni) dove, non avendo mai operato prima, dovevano trovarsi in all’interno di protocolli assistenziali e clinici rispetto ai quali non possedevano dimestichezza e familiarità ( si pensi anche alla semplice acquisizione di competenze nel governo del respiratore)

Il D.lgs. 81/08 e s.m.i. è testo garante della salute e della sicurezza di tutti i lavoratori in ambiente di lavoro; esso richiede a tutti i datori di lavoro di valutare e predisporre quanto necessario per garantirle. Il datore di lavoro deve quindi effettuare, fin da subito, la valutazione del rischio organizzativo denominato rischio stress lavoro-correlato oltre alla valutazione di tutti gli altri rischi.

Quando si parla di accompagnamento al cambiamento organizzativo ci riferiamo alla necessità di rendere stabili procedure e strumenti che possano aiutare le organizzazioni a ripartire preservando la salute psico-fisica dei lavoratori. In questo periodo post Covid-19, dobbiamo ricordare la grande richiesta adattiva che le organizzazioni hanno fatto ai lavoratori, correndo inevitabilmente il rischio di determinare in essi conseguenze disfunzionali sia a livello comportamentale che a livello cognitivo ed emotivo. Quando la richiesta lavorativa diventa “eccessiva” e protratta nel tempo, il lavoratore può scivolare, nonostante le tentate mediazioni che compie, tra stimolo e risposta, da una condizione ottimale a una condizione di stress negativo. L'incertezza, la continua sollecitazione al cambiamento nonché la richiesta di adeguamento ad un rapido adattamento, richiede al lavoratore un grande sforzo nonostante egli debba invece essere sempre messo nelle condizioni di svolgere compiti, ruoli e mansioni, in assenza di stress, disorientamento, paura e insicurezza.  Affinché il continuo adattamento e quindi la manifestazione di stress negativo non diventino un problema e la persona non venga costantemente sollecitata a mantenere un equilibrio improbabile all’interno dei molteplici e repentini cambiamenti è necessario accompagnare le organizzazioni alla migliore riflessione e pianificazione attraverso stabili procedure e strumenti.

Non si tratta, di una valutazione di rischio stress lavoro-correlato “classicamente intesa” bensì di una specifica azione di accompagnamento a tutto ciò che il Covid-19 può aver modificato o continuare a modificare, e questo sia a livello organizzativo, che individuale per quanto concerne la dimensione del cambiamento, la procedura del cambiamento e la legittimità del cambiamento organizzativo.

La figura dello psicologo e dello psicoterapeuta, è essenziale, come figura idonea all’accompagnamento organizzativo, poiché egli ha specifiche competenze sia a livello organizzativo che individuale; da una parte lo psicologo può supportare il medico competente, fornendo utili e ulteriori elementi in merito alla salute psicologica del singolo lavoratore e dall’altra può collaborare con l’organizzazione in merito agli aspetti organizzativi-trasversali quali: la comunicazione, l’accompagnamento al cambiamento, il sostegno al lavoro svolto da casa o ai cambi di orari e/o mansioni, etc…

 

 

RossellaConsulenzaLa situazione pandemica alla quale abbiamo dovuto rispondere in qualità di operatori sanitari ci ha messo di fronte a stressor conosciuti ed altri completamente sconosciuti. L’ operatore sanitario, collocato in aree di degenza, si è trovato per un tempo lunghissimo (circa 3 mesi continuativi) di fronte ad una situazione...